Mt 5,1-12
Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.La prima lettura che abbiamo ascoltato, tratta dal libro dell’Apocalisse, ci ha descritto una scena in cui ci sono 144.000 persone e un angelo che dice ad altri angeli: “Non devastate né il cielo, né la terra. Non devastate le persone, guardate che umanità dolente sta nelle strade, nelle nostre case, nei nostri uffici. Guardate quante persone sofferenti trasmettono sofferenza. Noi dobbiamo mettere il sigillo sulla fronte di questa gente, dobbiamo vestirla di una veste bianca, resa candida dal sangue dell’Agnello”.
Questo dobbiamo fare! Questo dobbiamo affrettarci a realizzare. Altri faranno altre cose, ma questa è la chiamata di ogni cristiano, questa è la chiamata della Chiesa, sia all’interno della sua realtà, sia per il mondo intero. Noi non siamo chiamati a devastare, a distruggere, siamo chiamati a mettere questo sigillo per iniziare un’opera che si manifesterà pienamente nel Cielo, producendo un’umanità piena di luce, di bellezza, di letizia. Questo affresco descritto nell’Apocalisse non è un sogno ad occhi aperti, qualcosa che non si realizzerà mai! Innanzitutto vi dico che questo è il mio vero obiettivo. Oggi sono 15 anni che sono parroco qui a San Bernardo. Durante questi anni abbiamo avuto solamente un obiettivo: non distruggere, ma aiutare le persone a far sì che la loro e la nostra vita diventasse bella.
La Scrittura non dice santa, dice beata. La beatitudine! Nella Scrittura non c’è la categoria della santità, la santità è una qualità di Dio. I santi sono coloro che partecipano di questa qualità, i quali vengono chiamati beati. La parola beato per noi non significa quasi nulla, perché è una parola che noi utilizziamo per fare qualche battuta: beato te! Questa parola viene dall’ebraico ashrei, o asher che significa sapiente, ma nello stesso tempo significa lieto, contento, felice. Chi è felice? Colui che è sapiente. Il termine asher in realtà significa beati, al plurale, perché quando uno è felice, lo è sempre insieme ad altre persone. Quando nel Salmo 1 si dice “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi”, è scritto Ashrei haish cioè “beati è l’uomo”, perché la felicità, la beatitudine nella Scrittura è sempre condivisa, è sempre insieme con qualcun altro. Uno non può essere felice da solo. Quando una persona ha un momento di felicità lo vuole condividere con qualcun altro! E’ impossibile che una persona che goda di qualcosa non voglia immediatamente raccontarla o condividerla con qualcuno che ama.
L’umanità che viene presentata in questa celebrazione è diversa da quella dolente, affaticata ed oppressa che noi normalmente vediamo, è un’umanità che sta in piedi, che loda Dio, che è contenta e trasmette contentezza, cioè beata! Nel vangelo sono raccontate otto beatitudini, ma le beatitudini non sono otto, sono infinite, quelle otto stanno ad indicare che c’è un modo sapiente di vivere situazioni sfavorevoli che normalmente amareggiano la vita delle persone, come la povertà, la mitezza, l’afflizione, la persecuzione… Questa sapienza che permette la trasformazione di una situazione difficile in un’occasione di felicità, di letizia, di significato, viene da un’esperienza di comunione con Cristo.
Non stiamo parlando solamente della capacità di stare contenti quando ci sono situazioni favorevoli (cosa già rarissima da vedere nelle persone), ma di esserlo anche in situazioni veramente difficilissime. Cosa è allora la santità? La santità consiste nell’avere un tipo di ascesi, un tipo di esercizio che ci alleni a stare contenti, a farci arrivare la contentezza dentro l’anima. Noi spesso facciamo l’esercizio opposto, perché ci facciamo arrivare dentro l’amarezza: uno ti ha offeso, e ti ci pensi e ci ripensi, lo scrivi su Facebook, ne discuti, polemizzi, entri nel vittimismo… e piano piano la bruttezza, la tristezza, comincia a penetrare dentro l’anima e traspare dal volto. Noi dovremmo fare esattamente l’opposto: custodire, come fossero una piccola perla preziosa, quei piccoli pezzettini di cielo che ci arrivano dentro, imparando ad assaporarli come avviene con una caramella che metti in bocca e piano piano emana il suo sapore in tutto il tuo corpo. Questa ascesi della letizia, della benedizione è una cosa importante che noi non sappiamo fare.
E’ vero che tante volte ci aspetteremmo di più da Dio, senza pensare che quello che abbiamo è una piccola grande cosa! E’ già enorme! Nei santi che io ho conosciuto (perché vi sono dei santi viventi!), non aleggia la perfezione, ma nella loro vita vi sono dei bagliori di bellezza, dei lampi di luce. Quella è la santità! In questa terra non c’è la santità come la immaginiamo o come forse ci hanno raccontato in modo sbagliato. Non esiste la santità che noi tante volte idealizziamo, ma molti di voi già sono santi, già vivono la beatitudine. La sapienza della beatitudine non è solamente quella di rallegrare gli altri, ma di rallegrarmi – io! – mentre vivo una certa situazione. Devo trovare il modo per riconciliarmi, per gustare il momento che vivo, la persona che sto diventando, la comunione che ho con Gesù Cristo, anche addirittura in quelle situazioni più lontane dalla possibilità di rallegrarsi, come per esempio, la povertà, la mitezza… . Chi conosce Gesù Cristo è consapevole di non poter amare se non vive la mitezza, è consapevole che non può amare e non può farsi amare se non entra nella povertà, che non può pensare di portare qualcosa di buono agli altri se non entra nei contrasti, nei problemi, nelle ingiustizie vivendole in una maniera silenziosa, sapendo che può rallegrarsi perché sa che sta contribuendo ad un’opera che Cristo nascostamente sta trasmettendo alle persone attraverso la sua decisione di prendersi l’ingiustizia.
Mentre gli altri mi dicono che sono uno stupido, io so che davanti a Cristo questa mia decisione è sapiente e mi dà allegria. Così viveva san Francesco! San Francesco non chiamava beatitudine questa modalità di vivere, ma la chiamava letizia. Perfetta letizia. Dove pensi che sia la perfetta letizia? Nell’avere successo? No! Sta nel vivere un’esperienza di nascondimento e di incomprensione in sintonia con il Cristo crocifisso. Questo vale la pena! Questo produce un frutto che noi già possiamo vedere: “Chiunque ha in sé questa speranza, purifica se stesso come egli è puro” (1Gv 3,3). Questa è la beatitudine. La beatitudine di chi accetta di aver sbagliato, per esempio: ho visto una persona che ha ceduto sul fatto di aver ragione a tutti i costi e ha riconosciuto la sua povertà. Ma che bello! Ho visto un momento di santità nella tua vita. Ti ho visto come ti vede Dio! Ti ho visto con questa luce che si accende quando tu diventi sapiente. Dice San Paolo che la sapienza davanti a Dio è stoltezza davanti agli uomini. Per gli uomini riconoscere di aver fatto una stupidaggine davanti agli altri, darla vinta a qualcuno, è sbagliato! Così è la sapienza davanti agli uomini. E allora, fatti stolto secondo gli uomini, fatti sapiente secondo Dio, ashrei, in greco makairos.
Molti di voi già vivete questo. Noi siamo un po’ come un semaforo: alcune persone sono rosso fisso, come i semafori pedonali col bottone! In altri, invece, piano piano riappare la luce: cedi un attimo le armi, smetti di leccarti le ferite (che è una cosa dolce), e ti riapri alle cose buone, che sono piccole! Non c’è niente da fare! Su questa terra difficilmente potrai avere più gioie di quelle che già hai avuto! Non esistono! Il Paradiso è già sulla terra, ma non è come noi lo immaginiamo. Noi non possiamo avere la santità permanente! Nessuno ce l’ha! Neanche Teresa di Calcutta, neanche Giovanni Paolo II. Non esiste! A volte la letizia sta anche lì dove emotivamente in quel momento non ti senti lieto, però stai dentro la letizia, perché mentre ti esponi in una maniera docile all’opera di Dio, qualcosa di grande succede agli altri, e allora tu devi prendere gioia anche da quello che tu trasmetti agli altri, devi scoprire questo nuovo gusto.
Sapienza viene da sapore e sapore è il gusto. Il sapiente è la persona che sa gustare la vita per quella che è. Devo imparare a gustare quello che ho e quello che sono. In me c’è beatitudine, e questo io a volte lo dimentico, non sono capace a gustare le cose che Dio mi dà, le disprezzo, le sottovaluto, mi dico: “Ma che sarà mai…”. Non è così! Dobbiamo lavorare per entrare in questo atteggiamento di stupore e non lasciare a terra perle preziose.
Carissimi, questa è una festa che ci deve consolare, perché la santità esiste! Se io dopo 15 anni non l’avessi vista, se pensassi di non aver combinato niente, se non avessi visto nulla di positivo nelle persone, ma solamente inutilità, io me ne sarei andato! Cosa mi ha trattenuto, cosa mi incoraggia a rimanere nella mia missione? Vedere in voi qualcosa di bello! Quando ho partecipato alla trasmissione televisiva “Beati voi”, mi hanno chiesto cosa fosse la purezza di cuore. Ed io ho risposto: a me non interessa cosa sia la purezza di cuore! A me interessa se la purezza di cuore sia realizzabile nelle persone, ma prima ancora mi interessa sapere se un puro di cuore sta meglio di una persona impura, se la sua vita migliora. Se a queste domande rispondo di sì, allora vado avanti, altrimenti non mi interessa sapere cosa sia la purezza di cuore e approfondire l’argomento. E questo io lo vedo, l’ho visto. La nostra santità è precaria, però ci sono tanti lampi, tanti bagliori di santità, gustiamoceli. Chi riesce a gustarli ha inevitabilmente un moto di santità anche lui, perché la beatitudine è contagiosa.
Ogni celebrazione vuole produrre in noi la presenza di Cristo, vuole imprimere dentro di noi il suo sigillo che è un sigillo di amore, di conferma, di fiducia. Questo è ciò che vuole fare Dio. Dio non vuole devastare. Allora lasciamo che questo avvenga in noi, lasciamoci consolare perché questa è la realtà. Lasciamo che questa speranza si riaccenda in noi, perché chi ha questa speranza purifica se stesso come anche egli è puro. E quello che noi saremo non è stato ancora rivelato, perché saremo così come egli è. Solo se veniamo qui ci alleniamo per entrare dentro questa sapienza di cui abbiamo parlato. L’apocalisse parla di una messa: tutti in piedi, si ascolta la parola, arriva l’angelo e ti mette il sigillo, ti ridà le tue vesti lavate e rese candide con il sangue dell’agnello e tu sei nuovamente nella tua bellezza, nella tua unicità. Questo è il servizio che fa la Chiesa.