Io sono il pane vivo, disceso dal cielo

14-06-2020 Santissimo Corpo e Sangue di Cristo di don Fabio Pieroni

Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Questa è una festa ricchissima, straordinaria. Una festa che ha bisogno di essere approfondita perchè è stata spesso lasciata all’interpretazione autodidattica del popolo di Dio che ha messo alcuni aspetti in secondo piano. Noi stiamo rendendoci conto, anche attraverso l’esperienza della quarantena, che è necessario che noi riceviamo delle consegne, delle tappe, delle esperienze, delle sintesi che la Chiesa deve consegnare ai sui figli.

Per entrare in questa festa faccio una breve premessa: la parola di Dio ci parla innanzitutto di una situazione  drammatica che ci viene descritta nel libro del Deuteronomio, quando Mosè fa ricordare al suo popolo cosa è stata e cosa è ancora questa esperienza del deserto. L’esperienza del deserto è qualcosa che non potranno mai dimenticare perchè è stata spaventosa! Il deserto è il luogo dove ci sono serpenti, scorpioni, non c’è acqua, non ci sono obiettivi, tutto è piatto…

L’altra indicazione che ci viene data dalla Scrittura, in particolare dal vangelo, è la testardaggine di Gesù  mentre i Giudei si sorprendono, si infastidiscono, addirittura si imbarazzano davanti alla proposta che Gesù fa, che è quella di mangiare la sua carne. Qui la parola mangiare viene utilizzata undici volte, con un verbo greco ἔφαγον (efagon), ma ci sono quattro volte in cui viene detto τρώγω (trogo), che significa masticare, triturare, a Roma diciamo mozzicare. E quattro volte poi di dice bere.

Fatta questa premessa, vediamo ora di entrare nel significato di questa festa.

Il corpo e il sangue di Cristo possono essere visti da un punto di vista statico e da uno dinamico. Il corpo di Cristo è questo pane nel quale con  le parole della consacrazione che producono la transustanziazione, si ha un cambiamento di sostanza:  la forma è il pane, la sostanza è il corpo e sangue di Cristo. Si ha la presenza reale sostanziale nel sacramento. Il corpo di Cristo rimane sostanzialmente anche dopo la celebrazione del sacramento ed è percepibile sacramentalmente, attraverso il segno. Quanto più il segno è espressione visibile del pane, quanto più io mi rendo conto che è pane. Questa percezione è sacramentale, abbiamo quindi una presenza reale sostanziale sacramentale. Si potrebbe avere anche una presenza reale sostanziale e non sacramentale, ma fisica. Ma noi non possiamo vivere una esperienza fisica di Gesù.

Il fatto che sia  sacramentale è molto importante, perchè noi possiamo incontrare proprio lui, risorto, attraverso il corpo e il sangue.

Questo è però l’aspetto statico, cioè noi ci rendiamo conto che lì c’è questa presenza reale sostanziale nel sacramento, ma non è che siccome questa presenza reale è lì davanti a noi, allora esige la nostra attenzione. Cristo non vuole attirare su di sè la  mia attenzione, di modo che lui sia il centro, ma è esattamente l’opposto! Cioè il fatto che Cristo sia sacramentalmente presente gli consente attraverso la celebrazione dell’eucarestia che si fa tutte le domeniche, di raggiungere me e te, in un aspetto dinamico.

Che significa?

Siccome Gesù si presenta a me e a te come pane che si spezza e vino, sangue che si versa, mi comunica quello che questa ” fractio panis” significa, cioè il mistero pasquale, la liberazione da tutto quello che mi chiude dentro me stesso. Questa azione di Cristo che mi libera e che mi entusiasma perchè mi riempie di sè non è un’azione che va imitata! Non è che io devo adesso devo imitare Cristo! Questa proposta a me e a te risulterebbe impossibile, risulterebbe una ulteriore angoscia, ma spesso succede che noi non solamente concentriamo la nostra attenzione su Cristo che sta lì come il Divin Prigioniero, invece di sentirne la sua azione attraverso la celebrazione, ma pensiamo anche di essere chiamati a imitare, a ricopiare. Non è così!

Questo esempio, questa dinamica non va imitata, ricopiata. Va mangiata! Mangiata! Mangiare significa gustare, assaggiare, essere coinvolto in una relazione cruda, forte! Per questo Gesù dice: “Mangiami! Mozzicami! Entra in una  partecipazione con quello che io sono per te. Io sono per te colui che ti provvede costantemente questa liberazione! Io sono con te tutti i giorni fino alla fine del mondo, e sono davanti a te, per te, per riempirti di me stesso, per liberarti. Gustami! Fai festa con me! Rallegrati con me! Mangiami!”.

E’ un amore impetuoso! Gesù vorrebbe che noi fossimo travolti da quello che significa ogni domenica questa celebrazione del corpo e sangue di Cristo che si spezza e si versa per me. E quindi non vuole provocare in noi l’angoscia che adesso siccome lui mi ha amato, allora lo devo riamare e quindi sto in  debito costante.

Questo amore va mangiato perchè viene celebrato in questo deserto grande e spaventoso dove non  c’è acqua, non c’è niente, ci sono i serpenti, gli scorpioni. Questo deserto è nostra vita! E  dentro la nostra vita appare questa presenza straordinaria che ci accompagna, ci consola costantemente, e noi abbiamo in questo sacramento dell’eucarestia il nostro centro gravitazionale. Questa consolazione probabilmente ci porterà anche a fare qualcosa di straordinario a nostra volta, ma la cosa importante è che dentro questo deserto spaventoso e grande c’è Qualcuno che dice: “Io sono a  tuo servizio, devo fare questo lavoro in te, perchè ti manca la forza di  svincolarti da certi pensieri ossessivi, da certe preoccupazioni che ti schiacciano… se tu non bevi di me, se tu non stai in comunione con la mia vita che palpita in te, questo non lo poi fare.Se tu entri dentro questa orbita, non sei più nel caos”.

Molti di voi a volte si slegano, noi abbiamo bisogno di custodire questa spirale, questa orbita che ci fa assimilare la Pasqua che è significata nel pane che si spezza e nel vino che si versa, e che è segno dell’amore. Il sangue è l’amore, è la vita divina in noi.

Voglio chiudere con una cosa che mi ha molto colpito e che è stata detta dal Cardinal Gianfranco Ravasi,  proprio parlando del Corpus Domini. Ha citato un’esperienza che viene vissuta dai Sufi. I Sufi sono dei mistici islamici. E’ un’esperienza particolare  che noi abbiamo conosciuto durante un pellegrinaggio in Turchia attraverso la Danza dei Dervisci. I Dervisci sono dei monaci che pregano attraverso una danza roteante, e c’è una poesia che pregano mentre fanno questa danza. Questa poesia dice così: “L’amore divino è nelle mie vene e nella mia pelle scorre come sangue. Esso mi ha svuotato e mi ha riempito dell’amato divino. L’amato ha invaso ogni particella del mio essere. Di me ormai non resta che il nome. Tutto il resto è dell’Amato”.