Mc 1, 29-39
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòniIn questo vangelo si racconta di quando Gesù esce dalla sinagoga ed insieme con i suoi amici entra nella casa della suocera di Simon Pietro e gli parlano subito di lei, che è a letto con la febbre.
La precedente traduzione dice che “Gesù la alza, la prende per mano e si mise a servirli“, mentre abbiamo ascoltato; “la prende, la alza e li serviva”; sono due tempi verbali diversi; il primo significa che prima li serviva, ma poi è arrivata la febbre ed ha smesso di servire, ma dopo riprende a servire. Invece la nuova traduzione dice che continuava a servirli.
Noi pensiamo che quando una persona sta male o è in crisi con il matrimonio, con il lavoro, con il figlio, con la parrocchia, può avere una febbre, cioè un calo di entusiasmo, si può chiudere in sé e comincia a combattere come Giobbe che si muove a destra e sinistra, si domanda quando si sarebbe rialzato. E allora si chiede cosa deve fare della sua vita, che gli sembra inutile perché dovrebbe essere più bravo, più convinto, dovrebbe essere una persona risolta, mentre è problematico; pensa di essere inutile e che questo è un tempo inutile, dannoso, che bisogna tornare ad essere efficiente.
Mi è tornato alla mente un discorso che fece Giovanni Paolo II nel 1994 durante un Angelus. Nel 1981 aveva subìto un attentato; io mi ricordo che camminavo per Viale Libia ed ho visto tutta la gente che aveva sentito che c’era stato l’attentato ed andava in Chiesa a pregare. A 13 anni dall’attentato, scivolò per casa, si ruppe il femore e fu nuovamente ricoverato in ospedale; per questa situazione è andato in crisi, perché era un grande atleta, ma per tutti i medici era un pessimo paziente, perché voleva rimettersi immediatamente. In questo Angelus racconta che ha dovuto soffrire per 4 settimane lontano dalla sua missione, dall’evangelizzazione; mentre stava rivoltandosi nel letto come Giobbe e pregava (pregare significa parlare con Dio, parlare tra sé e sé riguardo la missione che Dio ci sta dando), gli tornò alla mente il suo maestro che si chiama Wyszynski. Gli fu sempre accanto ed in particolar modo quando seppe che nel Conclave sarebbe stato molto facile che lo avrebbero scelto come Papa ed ha capito che aveva un momento di grande difficoltà. Durante l’Angelus Giovanni Paolo II dice: “E ho trovato di nuovo accanto a me la grande figura del Cardinale Wyszynski, Primate della Polonia. Egli, all’inizio del mio Pontificato, mi ha detto: “Se il Signore ti ha chiamato, tu devi introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”. Così mi disse … E ho capito che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo Terzo Millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisognava introdurla con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio.” Sta sottolineando che proprio quando una persona non sta servendo dal punto di vista dell’efficienza perché è tormentato e sta male, sta qualificando il suo servizio, sta diventando più profondo nel dedicarsi al Vangelo, più acuto nel comprendere le situazioni. La sofferenza non è solamente il dolore, ma ci cambia internamente; questo cambio è funzionale alla qualità dell’evangelizzazione. Tante volte abbiamo l’idea che siccome non siamo efficienti, stiamo perdendo tempo; siccome come moglie in questo momento faccio fatica a stare nelle difficoltà di mio marito (si possono fare tanti altri esempi) e non sono perfettamente efficiente, sto sprecando il tempo. Questo è un messaggio sbagliato, perché infatti si dice che la suocera di Pietro continuava a servire, li serviva anche quando stava male. Va recuperato questo aspetto della “défaillance” che a volte noi viviamo e detestiamo perché vorremmo essere sempre perfetti, eccezionali; la difficoltà che noi sentiamo nel rimanere fedeli fa parte della generosità e della qualità delle cose che viviamo. Giovanni Paolo II ha capito che in quelle 4 settimane in cui non ha fatto niente, ha fatto tanto, in cui pensava di aver sprecato il tempo, perché voleva correre velocemente, invece l’ha guadagnato.
La stessa cosa è per tutti noi. Anch’io se non avessi avuto delle difficoltà che mi hanno dirottato, mi hanno fatto perdere tanto tempo, alcuni anni, non sarei oggi davanti a voi con una maturità che non avrei avuto se quella problematica io non l’avessi vissuta. Molti di noi abbiamo questa idea mondana del servizio che è quello dell’efficienza e invece è quello dell’amore, della sintonia con la chiamata che Dio ci fa.
San Paolo dice: “quando sono debole è allora che sono forte… mi sono fatto tutti a tutti per guadagnare in qualsiasi maniera qualcuno e guai a me se non evangelizzassi; ma io evangelizzo sia nella fatica che nell’entusiasmo”. L’importante è che qualitativamente passa questo Spirito. Molti di noi abbiamo un senso di antipatia verso noi stessi, perché dovremmo fare delle cose che adesso non siamo più convinti di fare e viviamo un combattimento per recuperarne il senso; ma sarà un senso nuovo, una novità che piano piano stiamo preparando: più andiamo avanti, più approfondiamo la nostra relazione. Invece molti di noi quando stanno in difficoltà si amareggiano, si chiudono, si deludono, protestano contro Dio che non c’è, che è inutile, è sbagliato. Giobbe ha la tentazione di fare la stessa cosa quando sta nella malattia. Su questo dobbiamo cambiare opinione e renderci conto invece che Gesù vuole proprio evitarci il pericolo di credere che dentro la sua squadra di evangelizzazione vigesse l’assoluto dell‘efficientismo: se uno lo legge male, crede questo. Nel verbo c’è un tempo verbale che è l’imperfetto (“continuava a servirli”) e non l’indicativo (“si mise a servirli, dopo che non li serviva più”). Su questo Giovanni Paolo per noi è un grande maestro.
Abbiamo bisogno di convertirci, di cambiare mentalità su queste tematiche. Il Vangelo che abbiamo ascoltato è veramente sorprendente nella misura in cui lo leggiamo così come vi ho proposto di leggerlo.