Portiamo nel nostro corpo il morire di Gesù

02-06-2024 Corpus Domini di don Fabio Pieroni

Mc 12, 13-17

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

Questa è una festa estremamente ricca di tanti aspetti, per cui dobbiamo fare una scelta. Le letture che abbiamo ascoltato oggi presuppongono una conoscenza molto approfondita della teologia del sacrificio ebraico ed evidentemente non è possibile spiegarle; quindi, vorrei partire da quello che vi è più familiare. Quando il sacerdote dice le parole della consacrazione, succede qualcosa di molto importante ed è un’operazione che teologicamente ha un nome molto complicato e difficile da pronunciare: “transustanziazione”. Ce lo spiega bene San Tommaso d’Aquino con un canto molto antico, medioevale; dice che malgrado la forma del pane rimanga tale e che il vino rimane vino, attraverso le parole della consacrazione, quel pane, pur rimanendo pane sotto il profilo del sapore, nella sostanza diventa il corpo stesso di Gesù Cristo e il suo sangue. È un miracolo che avviene grazie al fatto che un sacerdote ordinato pronuncia le parole che Gesù ci ha lasciato.

Prima del Concilio, la cosa fondamentale nella Messa era la transustanziazione; nel 1501 c’era stato un Concilio che aveva contestato la Chiesa, attraverso la riforma protestante a cui la Chiesa risponde con la controriforma, sottolineando proprio questo aspetto del sacramento. Ma durante la Messa c’è qualcosa di più grande che consiste nel fatto che ad un certo punto Gesù nel Vangelo di Giovanni dice che Dio nessuno l’ha mai visto, ma proprio il Figlio dell’Uomo che è nel seno del Padre, nel suo cuore, ce lo ha rivelato. La parola rivelare significa che c’è qualcuno che ha svelato, ha tolto il velo e ha reso visibile quello che era nascosto. Infatti, ad un certo punto il Vangelo dice che c’è un tizio di nome Filippo, che non aveva ancora fatto la prima comunione, che parla con Gesù chiedendogli, dal momento che aveva raccontato tante cose, di mostrare loro il Padre, perché sarebbe bastato loro; lo implora quindi di far vedere loro il Padre. Gesù allora lo rimprovera e gli dice: “Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto? Guarda, chi vede me, vede il Padre!” Mi rendo conto che c’è bisogno di concretezza, perché il corpo e il sangue di Cristo ci parlano non solamente di una visibilità ma anche di una concretezza, non è astrazione. Si domanda: dove sta questo Padre? Dove lo posso vedere? Lo vedi in me, gli dice Gesù, “chi vede me, vede il Padre”, adesso ti mostrerò la gloria del Padre. E di lì a poco Gesù entrerà nella passione e mostrerà come nel corpo umano, che è afflitto da questa fragilità che si chiama carne e manifesterà un modo di essere umano che è sovra umano, perché è animato dalla sua divinità. Ma questo non basta ancora.

Il grande miracolo non è tanto riconoscere il Padre nel Gesù di Nazareth. Gesù dirà un’altra cosa dopo queste frasi: “Chi ascolta voi, ascolta me, chi riceve voi, riceve me”, cioè chi tocca voi, tocca me. Sta parlando dei cristiani: sarete voi adesso che prolungherete concretamente nel vostro corpo la mia presenza; sarete voi che farete presente la concretezza di Dio, perché io non ho mani, non ho piedi, non ho volto, se non il vostro! Il corpo di Cristo non è solamente quello che viene transustanziato attraverso la consacrazione. Sull’altare, alla fine della Messa, non ci sono più le ostie, le particole, perché sono nel nostro corpo. Il corpo di Cristo siete, siamo, noi! Questa è la grande transustanziazione che è in atto, perché il mondo dice: io voglio vedere Gesù, lo voglio incontrare. E lo va ad incontrare dentro questo macello che è la vita.

Io sento costantemente gente che sta dall’avvocato, o all’ospedale, oppure che guida e non vede un cristiano nella concretezza e nel modo di esprimersi; questa è la tragedia. Il cristiano, nella sua dimensione soprannaturale, è quello che ti accoglie, ti perdona, fa il passo più lungo della gamba: vedere questo in una persona di tutti i giorni è un grande miracolo.

Sapete che ci sono tanti miracoli eucaristici a causa di tutti questi dubbi riguardo al fatto che si trasformasse il corpo e il sangue di Cristo. Per esempio, c’è il miracolo eucaristico di Bolsena, che poi è custodita ad Orvieto o quello di Lanciano, che è il più sconcertante, perché nel 1200 la particola che viene consacrata dal sacerdote diventa una sezione di un tessuto miocardico vivo, che è ancora presente; lo si può andare a vedere. Ma il miracolo più grande è che io e te possiamo e dobbiamo avere la grande missione di rendere presente il Cristo nel nostro corpo, nella nostra presenza. Ne parla San Paolo nella lettera ai Corinzi: “portiamo nel nostro corpo il morire di Gesù”; si vede che la nostra carne è quella di Cristo, è abitata da Lui, perché può spezzarsi, può rompersi, che si può dare da mangiare, si può mettere a disposizione, ha questa energia ulteriore, che umanamente uno non può avere. Infatti, noi pensiamo umanamente che non possiamo amare, che non ci possiamo spezzare, perché la carne umana, se non è trasformata dallo Spirito di Dio, attraverso la Chiesa che ci parla, ci predica, ci perdona, ci forma, ci aiuta, ci incoraggia, non può spezzarsi. Anzi, è proprio l’opposto, perché deve affermarsi. Noi siamo ammalati da questa assenza di Dio in Cristo, che ci impedisce di fare quello che siamo stati chiamati a fare; siamo stati creati per rendere testimonianza alla verità che è l’amore, che consiste nello spezzarsi. E noi cerchiamo, ci aspettiamo che appaia Cristo in tuo marito, tua moglie, tuo figlio, il collega e quello che sta al pronto soccorso, ma non lo vedi: questo è il dramma. Quando lo vedi, allora tu hai visto Dio! Lo si può vedere in questo mondo, nei cristiani e in coloro i quali fanno presente Gesù Cristo Risorto, cioè qualcuno che nella carne umana vince il potere che la morte ha di chiuderci, di farci ribellare, di farci protestare. Questo è un lavoro grande che facciamo noi, è un lavoro soprannaturale e non psicologico: la psicologia mette in ordine tante cose, le reindirizza e fa un lavoro incredibile, ma la natura umana non può essere trasformata se non attraverso questa operazione che fa la Chiesa attraverso lo Spirito Santo.

Questo è il centro di questa festa: che il corpo di Cristo siamo noi! La finalità dell’essere parrocchia è di rendere presente il corpo di Cristo che è la comunità: questa realtà soprannaturale è la comunione costituita da vari legami che costituiscono un popolo, non un anonimato, non un gruppo sparuto che si raduna per osservare qualcosa che più o meno abbia un significato.

Io spero che questa operazione continui. Per esempio, i bambini che oggi stanno qua sono bravissimi e sarebbe bello che potessero continuare, perché noi abbiamo già fatto la prima comunione, con i catechisti; ma è importante che possiamo renderci conto che il catechista serve agli adulti, non ai bambini, e invece siamo in un grande malinteso, cioè pensare che il cristianesimo sia dei bambini. Si inizia eventualmente da bambini, ma si continua sempre.

Un’altra cosa di cui sono veramente stupefatto è la collaborazione che io ho da parte dei catechisti, di coloro che mi aiutano a fare questa operazione straordinaria. Molti giovani, molti uomini, molti mariti, molte mogli vorrebbero andare al di là di loro stessi, ma non possono, perché se non è prolungata, non è consolidata, non è rilanciata l’operazione di incarnazione di Cristo in noi, smettiamo di fare quello che magari un anno o un mese prima riuscivamo a fare: di amare, di donarsi e donare all’altro qualcosa di bello. Questo è un continuo essere impastati: la domenica viene preparata la Pasqua, si organizza. Dice Gesù: “andate in città, là troverete un uomo che ha una brocca d’acqua e lì preparate la Pasqua per me”, perché la Pasqua va preparata. Quest’incontro che è fecondo, che ci arricchisce, ci cambia, è Cristo in me che consente di fare qualcosa di bello; non è tanto un impegno che io devo prendere per fare delle cose che dentro di me non comprendo, non riesco a reggere: è l’opposto. Dobbiamo prima costruire un cristiano, che è uno in Cristo, due in una sola carne. Se c’è questo due in una sola carne, che è la comunione in Cristo Risorto nella carne, noi possiamo vivere nella vita nuova.