Sono passati solo dodici giorni da quando abbiamo celebrato le Ceneri. In quell’occasione vi ho distribuito un’immagine del Cristo nel deserto di Ivan Nikolaevic Kramskoj, un pittore russo della seconda metà del 1800, contemporaneo e amico del grande scrittore Dostoevskij. Quest’immagine si è materializzata improvvisamente e realisticamente nella nostra vita. Nessuno di noi se lo sarebbe mai aspettato, quello che viviamo non è un brutto sogno ma la realtà.
In questi prossimi giorni non avremo né il conforto dei nostri laboratori, delle nostre comunità, né dell’ordinaria attività pastorale né delle nostre dirette relazioni fraterne e nemmeno delle celebrazioni eucaristiche, che quando ci vengono a mancare come la salute o altre cose, ne scopriamo la preziosità e il miracolo che esse rappresentano.
Perciò stiamo cercando di metterci in rete affinché possa raggiungervi qualche nostro messaggio che, come una specie di manna nel deserto, speriamo possa quotidianamente aiutare a vivere in questo deserto.
Quest’oggi ho appunto riflettuto su quell’immagine che ritengo custodiate da qualche parte e che in un certo senso impedisce la rottura anche visiva con qualcosa che ci lega: in questo senso la memoria di quella celebrazione della Ceneri ci ha spinto, come Gesù e con Gesù, nel deserto.
Ecco una mia meditazione che spero possa aiutarci tutti almeno per questo giorno.
Se prendiamo l’immagine e la contempliamo un momento, notiamo che il deserto viene presentato come un lugubre altipiano, un ammasso caotico di rocce grigie in cui ogni cosa è scolpita dai venti e ridotta in sabbia, proprio a somiglianza della cenere. Al centro emerge la figura di Cristo, quasi cresciuta da quell’ambiente senza vita e pietrificata.
La linea dell’orizzonte taglia esattamente a metà la tela, assegnando a cielo e terra parti uguali, come se celeste e terreno convergessero in un combattimento per affermare ciascuno se stesso di fronte all’uomo seduto. La sua pietrificazione trova eco nel deserto di rocce.
Cristo è come impietrito sotto il peso dei pensieri, in un atteggiamento di forte tensione. Le piccole pieghe delle vesti accompagnano le curve del corpo. Nel Suo volto, soprattutto nello sguardo pensoso e assorto fino allo spasimo, si legge una profonda consapevolezza e accettazione di ciò che sta accadendo. Le spalle curve, il capo chino, le mani convulsamente intrecciate sono segno tangibile della sua disposizione d’animo. Secondo l’antica tradizione bizantina, senz’altro nota a Kramskoj, la figura di un uomo ricco di spiritualità e partecipe della vita divina è l’immobilità.
Questo stato di meditazione profonda, fino al distacco totale, descrive un Uomo dal respiro profondo proteso ad affrontare quanto attorno succede: Questi è l’Uomo di preghiera. Kramskoj conosceva bene lo stato di tensione della preghiera, da lui definita uno dei più misteriosi laboratori dell’uomo: “All’inizio tutto ciò che è estraneo ed esteriore mi turba e mi ferisce, subisco ancora l’influenza delle impressioni esterne che agiscono su di me, poi sono io il creatore, l’artista, l’artefice. E se la condizione di preghiera è stato autentico, e le sue motivazioni valide, allora la mia influenza sulla realtà sarà insuperabile e gli effetti saranno immensi, qualitativamente e quantitativamente”.
In tutta la sua incredibile forza ipnotica e nella drammaticità della grandezza e della volontà umane che in sé racchiude, Cristo è qui mostrato immobile. Il suo potere è come sospeso nello spazio e nel tempo, ma c’è comunque la promessa che ci sarà un ribaltamento. Ecco cosa suggerisce l’immagine, ecco dov’è il suo senso: nella possibilità di un ribaltamento, nella speranza di una rinascita spirituale.