Di seguito troviamo la catechesi che è stata predicata da don Fabio, don Giuseppe e don Simone il 16 gennaio 2025, come preparazione all’evento del Giubileo Parrocchiale.
Don Fabio
Sono contento di vedervi, di parlarvi, di raccontarvi questa storia che ci aiuterà a vivere una grazia che Dio ci dà e che non è ordinaria, non è una delle cose che si fanno tutti gli anni; c’è una modalità in cui il tempo diventa più pieno: sappiamo come nella Chiesa o nella Bibbia, soprattutto nel Nuovo Testamento, si parla del “kronos” e del “kairos”. Con chi è stato in Grecia abbiamo approfondito molto questo discorso, per cui io spero che potrete approfondire questa introduzione, che continuerà la prossima settimana. Sabato 25 alle ore 8.30 ci troviamo davanti alla Basilica per fare le operazioni di sicurezza che saranno tanto più veloci quanto meno borse noi portiamo, in modo che possiamo entrare nella Basilica che è stata dedicata in esclusiva alla nostra parrocchia; lì faremo un’altra spiegazione che culminerà con l’Eucarestia. Quindi voi potete portare anche i vostri amici.
Ora è evidente che molto spesso nella Chiesa si dà per scontato che la gente sappia quello che fa; anche quando uno entra per fare la messa, si presuppone che sappia che cosa è un’Eucarestia, perché evidentemente la Chiesa a volte sopravvaluta l’intelligenza o la preparazione degli altri oppure forse è manchevole. Allora insieme con Don Simone, Don Giuseppe, Don Gino, Don Cenal, Don Mauro e Don Arnaldo abbiamo pensato di fare la preparazione del Giubileo e ci siamo precipitati a lavorare su un tema che è estremamente complesso, soprattutto perché vengono utilizzati dei vocaboli che devono essere riempiti di un significato corretto.
A causa del fatto che il Cristianesimo ha avuto una inculturazione nella civiltà romana, esso ha risentito enormemente di una spiegazione dei termini biblici attraverso il linguaggio giuridico romano. Quindi spesso ci vuole un insegnamento permanente o almeno di base nel caso una persona non abbia una iniziazione al Cristianesimo, che non è una cosa normale o ovvia, per comprendere questi vocaboli; è a causa di questa impreparazione che tante grazie, tanti doni che la Chiesa si dispone a distribuire non vengono fruiti dalle persone, perché non sanno cosa sta succedendo.
Allora, per mettere insieme questo “maremagno” di problematiche che pian piano affronteremo, cercando di essere sintetici, ma nello stesso tempo chiari e semplici, dando tanti elementi, inizio con la proclamazione di una lettura, che mi sembra fondamentale per capire il Giubileo, tratta dalla seconda lettera ai Tessalonicesi di San Paolo Apostolo:
“Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana con ogni specie di portenti, di segni e di prodigi menzogneri e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l’opera santificatrice dello Spirito e la fede della verità, chiamandovi a questo con il nostro Vangelo per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo”.
Avete sentito come parla San Paolo: è un vocabolario fortissimo, che a noi dà quasi fastidio perché ormai le cose bisogna dirle il più pacatamente possibile, senza urtare la sensibilità; invece, il Vangelo è una spada, lo dice anche la lettera agli Ebrei. Qui si parla del mistero dell’iniquità e sappiamo bene tutti che cos’è: noi viviamo in una società che è praticamente come se ci fosse una petroliera che sta scaricando tonnellate e tonnellate di petrolio dentro un mare in cui c’è la barriera corallina e costantemente ci sono danni di ogni arcobaleno. Si chiama il mistero dell’iniquità, perché è una rete che non solamente coinvolge le persone lontane dalla Chiesa, ma ci sono contaminazioni dappertutto: dentro la Chiesa, dentro le anime dei cristiani e dei sacerdoti. È un’operazione impressionante che dobbiamo classificare: non c’è solamente il fatto che ci sono bugie, fake news e altro che sono il prodotto di questo mistero dell’iniquità (così parla il Nuovo Testamento), ma esiste un mistero della pietà (lo chiama così San Paolo), che contraddice, si contrappone a questa operazione che a noi sfugge, ma ne vediamo molto spesso gli effetti.
Chi presiede è il “satan”: è una parola aramaica che significa “colui che punta il dito”, che ti accusa, è il pubblico ministero, quello che ti mette in difficoltà, che dice che non c’è niente, che la fede è un’illusione, che tu sei inutil;, è l’accusatore, che ti denigra, che ridicolizza le cose che dice la Chiesa, che disinnesca la forza della predicazione.
Malgrado ci sia questa distruzione, la Chiesa ha pensato di fare un Giubileo che ha proprio come materia fondamentale il mistero del peccato e le sue conseguenze: non è solamente un errore o una trasgressione; “amartia” oppure “anabasis” sono vocaboli che riguardano il fatto che non c’è solamente un’imprecisione, ma è Dio stesso che viene toccato, c’è l’opera sacra della realtà che ci collega tutti quanti. Per cui noi non ci rendiamo conto di quali siano le conseguenze di questo peccato, il quale, una volta che tocca qualcuno, ferendolo, diventa un moltiplicatore di peccato. Solamente in Gesù Cristo crocifisso o nei cristiani quando arriva un errore, un’ingiustizia, un tradimento, il male non diventa un moltiplicatore di sé stesso, ma un moltiplicatore di bene, qualcosa che dobbiamo pian piano scoprire.
Quindi, ci sono delle conseguenze personali: chi commette un peccato è spaccato dentro di sé, se c’è un po’ di sensibilità, e questo succede soprattutto tra di noi; i peccati non li fanno solo quelli che stanno fuori della Chiesa, e che forse se ne rendono conto di meno. Lo Spirito Santo dentro di te si chiama “digitus Dei” e ti fa capire che stai facendo un casino; quindi, a livello personale c’è un danno, un dolore, un rammarico, perché questa cosa non sarebbe dovuta avvenire e invece è successa, abbiamo sporcato una cosa bella.
Ogni peccato ha le sue conseguenze: se tu hai un figlio e lo hai umiliato o te l’hanno umiliato davanti a tutti, rimane ferito; se tu hai un mobile particolare che hai pagato un sacco di soldi e arriva qualcuno che ci mette sopra una bibita di coca cola te lo corrode: lo puoi rimettere in ordine, ma si vede una macchia.
Poi ci sono delle conseguenze familiari e delle conseguenze ecclesiali: noi sappiamo bene come il peccato è molto più veloce ed efficace di una cosa buona; per cui io posso aver vissuto 25 anni nella Chiesa, ma basta un errore e sono finito, perché il peccato è così. Dicono i Padri antichi che quando vedi una persona che sbaglia, che cade, che si è impuntato, che si è fissato in una stupidaggine, certamente lo deve valutare, ma devi pensare sempre: “oggi a lui, domani a me”, perché purtroppo siamo deboli e fragili.
Ci sono, quindi, anche conseguenze ecclesiali di divisioni, di sospetti, di “figli e figliastri”: quella persona va in pellegrinaggio, quell’altro non ci va perché non lo hanno scelto; quell’altra persona è stata scelta come catechista perché è forte, mentre io non sono nessuno, “i papaveri sono alti, alti, alti e io sono piccolina, che cosa ci vuoi fare”. Serpeggiano questi pensieri e poi tu ne parli a destra e a sinistra. Si racconta che San Filippo Neri, quando una persona andò da lui per confessarsi di maldicenze che aveva diffuso nel quartiere, nel paese, non gli diede l’assoluzione, ma gli disse di andare al mercato vicino di Via Terni, di prendere una gallina e mentre tornava in chiesa doveva spennarla e portarla spennata, senza neanche una penna; quella si organizza per fare questo lavoro e quando arriva in chiesa San Filippo Neri, le dice di aspettare e di raccogliere prima tutte le penne; dopo le avrebbe dato l’assoluzione. Già introduco un elemento che ci sta dicendo che ci sono delle conseguenze del peccato che non sono più controllabili.
Ci sono anche delle conseguenze sociali: ogni volta che uno prega per i governanti, io mi metto il ginocchio e adoro quella persona perché ancora crede che la preghiera possa essere utile per un governante, cioè è impossibile. Ci fu un grande Papa, San Giovanni Paolo II, il quale scrisse un’enciclica che si intitola “Sollecitudo rei socialis”, in cui dice: “è incontrovertibile, come più volte ho avuto modo di ribadire, che l’interdipendenza dei sistemi sociali, economici e politici crea nel mondo molteplici strutture di peccato. Esiste una spaventosa forza di attrazione del male che fa giudicare normali e inevitabili molti atteggiamenti; il male si accresce e preme con effetti devastanti sulle coscienze che rimangono disorientate e non sono neppure in grado di discernere. Se si pensa poi alle strutture di peccato che frenano lo sviluppo dei popoli più svantaggiati sotto il profilo economico e politico verrebbe quasi da arrendersi di fronte a un male morale che sembra ineluttabile”. Questo è un pezzettino dell’enciclica (ma sarebbe bello approfondirla, leggerla e commentarla) pronunciata durante un’udienza del mercoledì nel 1999, per introdurre il Giubileo del 2000. Diede il massimo di sé stesso quando predicò proprio nella Giornata Mondiale della Gioventù: “il Giubileo può costituire un’occasione provvidenziale perché i singoli e le comunità camminino in questa direzione, promuovendo un’autentica metanoia, ossia un cambiamento di mentalità che contribuisca alla creazione di strutture più giuste e più umane a vantaggio del bene comune”.
Il Giubileo viene a dire che esiste un mistero di iniquità che però è animato ed accresciuto dal peccato e dalle sue conseguenze: ci sono persone che sono ossessionate dal fatto di aver peccato o di non dover peccare; c’è un’esagerazione a destra e un’esagerazione a sinistra, che è la rimozione, la negazione, la non accettazione che qualcuno ti dica qual è il tuo peccato o che te lo ricordi: ci sono persone che negano soprattutto quando sono più coinvolte, schiave di questo mostro.
Abbiamo sempre davanti questo casino, questo petrolio che sporca tutto, che ti toglie la voglia di campare. C’è una saturazione proprio psicologica che vediamo costantemente da come si guida, come si parla ed è legata al fatto che noi stiamo costantemente all’erta, sempre in allarme: basta niente e quello ti distrugge con la macchina, perché c’è una forte tensione.
Di fronte a questo, arriva il Giubileo che la Chiesa manda come una buona notizia.
Ci sono tante etimologie della parola “giubileo”, ma la tradizione della Chiesa l’ha collegata a uno strumento che alcuni chiamano “jobel”, altri “shofar”, che è uno strumento che utilizzano gli Ebrei quando vivono le loro feste principali.
Avete mai visto uno shofar? E’ un corno il cui suono è molto particolare e si suona per proclamare Rosh ha Shana che è il Capodanno, in cui Israele sa che Dio si ricorda di me e di te. Si ricorda del fatto che hai bisogno di fecondità per quell’anno che entra, che sarai generativo di qualcosa di bello. Noi siamo costantemente sottoposti dalla televisione, dai film, al brutto, alla violenza, è come se bevi costantemente acqua intossicata!
Bene, allora arriva il Giubileo! C’è un suono di speranza per cui Dio si alza dal trono e vuole agire anche attraverso la nostra collaborazione; tanto è vero che ci apre la porta. C’è la porta Santa di cui abbiamo qui un modellino uguale all’originale della porta di san Pietro fatto da due nostri fratelli: Ruggero e Cristina.
Questo segno dell’apertura della porta è molto importante per due motivi perché innanzitutto tutti noi possiamo entrare dentro questa realtà della Chiesa che ha un’immensa ricchezza e tu e io abbiamo il diritto di ricevere questa ricchezza, di ricevere questo bene perchè si contrapponga al male che mi abita, a questo male che altri, senza rendersene conto mi hanno prodotto, e quindi mi hanno ferito!
Dirà San Paolo: dove abbonda il peccato sovrabbonderà la grazia! E quindi c’è una visione positiva, non è solamente lamentosa, non è solamente negativa. Dobbiamo entrare e molti di voi attraverso i Dieci Comandamenti, attraverso il Laboratorio della Fede, attraverso altre esperienze, state entrando nel mistero delle ricchezze della Chiesa. Nella vita non c’è l’esistenza modello base e poi c’è modello accessoriato, che sarebbe il cristiano che fa le preghierine però si potrebbero pure non fare. No! Esiste un unico modo di essere persona che è quello che ha rivelato Gesù Cristo, e che la Chiesa ha la possibilità di trasmettere, di comunicare, di partecipare a ciascuno di noi che vive di una grande povertà! La povertà a cui fondamentalmente si riferisce la Chiesa è una povertà di spirito, è un’ignoranza, è una solitudine, è un terrore di vivere senza nessuno! Questa è la grande povertà dell’uomo! Non esistono solamente quelli che non hanno i soldi, che vanno aiutati, per carità di Dio, ma la vera povertà, la radice della povertà è quella che produce poi il male!
Bene, quindi noi stiamo entrando in questa porta, ne faremo l’esperienza e allora saremo, come dice il Papa, una Chiesa in uscita. Che vuol dire Chiesa in uscita? Cioè come si fa? Dobbiamo formare un popolo che possa evangelizzare.
Evangelizzare non è fare teologia, ma fare l’esperienza di questa redenzione dal peccato che adesso stiamo per introdurre. Un testo dice: “frequenta le riunioni degli anziani. Qualcuno è saggio? Unisciti a lui! Ascolta volentieri ogni parola divina e le massime sagge non ti sfuggano. Se vedi una persona saggia va presto da lui. Il tuo piede logori i gradini della sua porta. Rifletti sui precetti del Signore. Medita sempre i suoi comandamenti. Egli renderà saldo il tuo cuore e il tuo desiderio di Sapienza sarà soddisfatto”.
Allora, noi dobbiamo adesso affrontare il tema del sacramento della penitenza. Chi ha la mia età sa bene che all’epoca nostra, quando si parlava della confessione, detta anche sacramento della penitenza, si faceva immediatamente riferimento a cinque elementi che compongono la confessione e sono: l’esame di coscienza, il dolore dei peccati, il proponimento, l’accusa dei peccati e la penitenza. Voi capite che già tutti questi vocaboli hanno un riferimento giuridico, sembra un processo penale. Allora, noi dobbiamo utilizzare sempre questi vocaboli che la Chiesa usa, ma dobbiamo essere aiutati a tradurli senza tradirne il loro significato, ma recuperandone la profondità.
Non può bastare dire “penitenza” o “misericordia”, e supporre che tu abbia capito di che cosa si tratti quando parlo di misericordia. Ti devo cristianizzare, evangelizzare quel vocabolo.
Sapete che una delle modalità attraverso cui noi stiamo cambiando religione, cultura, abitudini, sensibilità è proprio quello che George Orwell in un libro del 1984 aveva profetizzato dicendo come sarebbe pian piano stata introdotta una neolingua, per cui certi vocaboli avrebbero significato una cosa esattamente contraria a quello che la consuetudine naturale, normale della civiltà precedente aveva assegnato a quei vocaboli. E questo purtroppo sta avvenendo anche nella Chiesa perché si dà per scontato che tu sia già cristiano, mentre invece è necessario una iniziazione, una formazione, un approfondimento, una verifica e tanto altro. Allora andiamo su questo discorso del sacramento della penitenza che è il rimedio al male, al mistero dell’iniquità. Quando si parla del sacramento della confessione, o penitenza, o riconciliazione, la teologia dice che chi ha ricevuto l’assoluzione del sacerdote, cioè chi ha ricevuto questo dono del perdono perché ha fatto un esame di coscienza, ha detto i suoi peccati, ottiene la remissione della colpa ma non della pena temporale (ecco il vocabolo giuridico).
L’assoluzione rimette la colpa, cioè la colpa interrompe la tua relazione profonda con Dio, la rovina, allora nella confessione tu puoi riaprire questa porta di comunione con la grazia di Dio ma quello che è fatto è fatto e lo devi prendere in considerazione. L’obiezione qual è? E’ quella di non confessarsi più, perché mi stai dicendo che con la destra mi dai l’assoluzione ma con la sinistra te la riprendi, ed io adesso devo fare i conti con le conseguenze del peccato che ho commesso!
Invece no! Io non ti tolgo nulla! Direi il contrario: avere a che fare con le conseguenze che il peccato produce nelle persone che hai ferito, nella situazione familiare, nel lavoro, nella società, ti serve a garantire, a consolidare la grazia del perdono che hai ricevuto, perché tu non solamente nella confessione pulisci la fedina penale, ma vieni modificato. Per questo, ci vuole del tempo, che non sappiamo quanto sia, ma un tempo in cui certamente c’è una pena, c’è una sofferenza, ma nello stesso tempo la grazia di Dio ti dà quello che si chiama indulgenza. La parola indulgenza etimologicamente si dice in dulce, e parlava della dolcezza; indulgenza significa che mentre stai facendo questo lavoro di recupero di presa di coscienza davanti a Dio del male fatto, questo produce in te una sensibilità nuova, un’attenzione, una responsabilità, e quindi accresce in te il senso della tua dignità. Non è un sentirti come dire svergognato, maledetto per sempre. Guidare questo lavoro di metabolizzazione delle conseguenze di un tuo peccato è un altro lavoro spirituale fondamentale da fare e quindi questo mi sembra un punto fondamentale perché in questo noi siamo aiutati dalla misericordia.
Nella Chiesa esiste la misericordia, che non è una pacca sulla spalla e tutto è a posto, ma è quella che molti di voi già state vivendo. Nella mente di Giovanni Paolo II, la parola misericordia ha suscitato una specie di curiosità: ma che vuol dire misericordia? Quindi ha scritto una lettera che si intitola dives in misericordia. Dives significa ricco, quindi Dio è ricco di misericordia, Dio è ricco in misericordia.
Ma che cos’è la misericordia? Poichè molti di questi vocaboli sono stati riempiti di un significato giuridico romano, lui è tornato al vocabolario ebraico, non per fare filologia ma per essere fedeli al frutto che la misericordia deve produrre in chi la riceve. E allora ha preso alcuni vocaboli come hesed, emeth e poi a un certo punto (nota 52) spiega che cos’è il rehem. Allora la misericordia per questo documento non è solamente la fedeltà e la bontà (hesed ed emeth significano queste due cose), ma la cosa più interessante è questa qua: cioè il rehem da cui rahamim è l’utero di una donna!
Questa frase l’ha capita una donna che si chiamava Carmen Hernandez che ha fatto parte dell’equipe di Kiko Arguello del Cammino Neocatecumenale, la quale ha pensato che rehem non è solamente un aggettivo, ma è proprio un processo che ridona la vita nuova a chi l’ha perduta attraverso un lavoro di generatività, di fecondazione, di accoglienza. Quello che noi viviamo nella parrocchia non è un accrescimento della nostra intelligenza o della nostra cultura del vicino Oriente cristiano, è invece l’esperienza di una comunione con la vita divina in noi, di modo che quando una persona riceve il perdono non è semplicemente pulito, ma è abilitato a compiere delle opere nuove, a vivere la vita cristiana, a prendere delle iniziative.
San Paolo dice proprio così: “siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo”.
Il cristianesimo spesso, soprattutto quello della sensibilità occidentale, è propenso a sottolineare il peccato e le sue conseguenze e il rimedio al peccato; invece la sensibilità orientale è più incline a sottolineare la vita libera che viene prodotta dalla confessione, dall’assoluzione. Quindi spesso quando noi celebriamo, la Madonna viene chiamata in Occidente, nel mondo latino, Immacolata, senza la macula, senza la macchia, senza peccato, mentre invece gli orientali quando celebrano la Madonna la chiamano anche Panaghia, pan significa tutto e aghios Santo, è tutta Santa, nel senso che non è che lei non ha fatto niente di male, ma che c’è una potenza di creatività nel bene. Questa potenza si deve attivare in noi, per reagire al modo in cui noi viviamo. Per questo non è che noi attraverso il Giubileo veniamo messi al riparo dai possibili peccati che possiamo commettere, ma siamo abilitati a vivere la vita nuova dentro i problemi, a portare cioè il mistero della pietà nel mistero dell’iniquità, costruire la città di Dio nella città degli uomini, perché diventiamo appunto questa Chiesa in uscita che racconta che io sono meglio di prima.
Ed è chiaro che ci vuole una testimonianza da parte nostra perché molto spesso tu un cristiano lo fai venire in parrocchia e uno si domanda: ma è possibile che voi nella vostra concretezza possiate ricevere il dono dell’indulgenza, di qualcuno che riflette meglio su se stesso, che finalmente si svelenisce da questo sarcasmo che lo rovina, che lo rende avido, insopportabile? Allora, ho visto che questo è possibile! L’ho visto in quel marito, ho visto Gesù Cristo, ho visto che c’è stato qualcosa di bello in lui e in sua moglie, hanno vissuto una cosa bellissima!
Quindi ci sono due elementi: la praticabilità di questa incarnazione della grazia, e la bellezza, la grazia della persona che viene trasformata dalla parola di Dio, e questo mi convince ad essere evangelizzatore! A me non interessa fare la Messa come un rito senza significato, senza evangelizzare, non ce la faccio! Perché non ci sono evangelizzatori? Perché non c’è gente che fa questa esperienza, perché l’evangelizzazione è una Chiesa in uscita, è la testimonianza di quello che i nostri occhi hanno visto, quello che le nostre mani hanno toccato, ossia il verbo della vita, perché il verbo della vita si è fatto presente nelle persone, e noi l’abbiamo visto, questo vogliamo raccontare perché la nostra gioia sia in voi!
Questo lo dice la prima lettera di San Giovanni, esordendo con questa berakah, una benedizione. Bene quindi io spero che abbiate la possibilità di poter maturare, personalizzare sulla vostra vita questi aspetti di cui ho parlato, ma non è detto che sia tutto chiaro. La Madonna, quando le accadevano cose che non capiva faceva così: “serbava queste cose custodendole nel suo cuore”. Serbava, non buttava niente; perché noi buttiamo le cose che non capiamo, siamo incapaci di portare in gravidanza certi suggerimenti, certe indicazioni. Portale, aspetta, non chiedermi quale libro posso consigliarti da leggere ma tu lavora su queste cose che ho detto, approfondisci, sottolinea alcune cose dette.
Don Giuseppe
Guardo questa assemblea ed è davvero impressionante, un grande dono. Mi ricordo quando nel 2016 abbiamo fatto il Giubileo straordinario ed andammo a San Pietro. Fu fortissimo perché poi alcuni dei custodi ci chiesero: “Di che diocesi siete voi?” e noi gli rispondemmo: “Non siamo una diocesi, siamo una parrocchia!” e non ci credevano perchè ci sono diocesi che avevano fatto il pellegrinaggio con 300 – 400 persone, e noi eravamo 2.000.
Adesso non voglio sottolineare questo, voglio per tutti richiamare questa opportunità straordinaria che abbiamo quest’anno.
Diceva giustamente Fabio che bisogna strappare innanzitutto da questo linguaggio giuridico che parla di colpa, pena ecc, quello che stiamo vivendo, perché tutti noi possiamo facilmente cadere in questa modalità e soffermarci per esempio su quali sono le condizioni per ottenere le indulgenze. Già varie persone mi chiedono in questo periodo di mandargli le condizioni per fare il giubileo: che devo fare? Confessione, sacramentale, celebrare l’Eucaristia, entrare per la Porta Santa, recitare il credo, pregare per il Papa, eccetera. Dico alt, fermati!
A che serve questa roba? Qual è la cosa fondamentale, perché tu possa goderti questa esperienza? Questa esperienza che andiamo a vivere serve per mettere mano, come ti è stato annunciato questa sera, su quella parte della tua vita, della nostra vita che tante volte noi abbiamo guardato con sconforto, anche uscendo magari da una confessione, no? Hai ricevuto l’assoluzione, ti sei sentito anche sollevato, hai sentito che lì c’è stato un momento di grazia particolare, però subito dopo, appena sei uscito dal confessionale hai impattato sulla tua vita reale. I problemi con tua moglie, con tuo marito, te li ritrovi a casa, non è cambiato niente. Le difficoltà con tuo figlio stanno tutte lì.
Noi non controlliamo la storia, è molto più grande di noi, molto più complessa. E il peccato ha tantissime strade dove infilarsi. Parliamo non dei peccatucci, ma del peccato quello serio, quello che spezza dentro la nostra dignità, che frantuma la nostra speranza, che ci toglie la voglia di vivere, che ci convince che non c’è un futuro. Ce lo siamo ritrovati, costantemente, tra le mani.
Quel nostro bisogno di giustizia che resta incompiuto è un dolore enorme, no? Senso di giustizia, perché tante cose dovrebbero andare diversamente. Quindi ci siamo portati a casa, la soluzione, quante volte l’abbiamo fatto, ma non ci siamo portati a casa questo pezzo in più. Ecco, l’anno del giubileo è l’anno del pezzo in più, se volete.
È un pezzo straordinario, che solo Dio può dare, che solo la fede della Chiesa può dare. Una grazia straordinaria per tutto quello che noi non possiamo controllare. Le famose “penne della gallina” di cui parlava Fabio, no? Quelle che non puoi andare a recuperare.
Quante cose noi della nostra vita non le possiamo recuperare. Noi no, ma Dio sì. Mi impressiona, per esempio, un uomo che ha fatto l’esperienza dell’indulgenza, senza chiamarla così: è stato Paolo, Paolo di Tarso.
Paolo era un persecutore, era uno che ha torturato i cristiani, ne ha ammazzati anche più di uno. Uno famoso è Stefano. È interessante, perché quel sangue, quel sangue di un innocente, di un martire, Stefano, ha rigenerato Paolo.
E quello doveva essere per Paolo una macchia sul curriculum indelebile: tu sei stato lì alla lapidazione di Stefano, sei stato un criminale, hai garantito con la tua presenza, hai messo la firma, su quel fatto. Lui era il testimone della legittimità giuridica di quella lapidazione, dice negli Atti degli apostoli: hai fatto questo, e questo non si cancellerà mai dalla tua vita.
Ma, vedete, non è questione di cancellarlo. Per Paolo diventerà benzina per annunciare il Vangelo. Tutta quella roba, quella roba che, dicevo, per noi è incontrollabile, ingestibile, che veramente a volte ci angoscia, ancora ci angoscia, magari dopo anni, tutto quel senso di incompletezza, di insoddisfazione, perché siamo carenti, perché siamo poveri, questa roba qui viene trasfigurata. Arriva una grazia, quella del giubileo, quella dell’anno giubilare, la grazia di Cristo, la grazia dei santi, di tutti i santi che sono passati sulla faccia della terra, di tutte le generazioni di cristiani, tutti quelli che già stanno nella gloria, che combattono insieme con noi.
Perché? Perché la nostra vita possa rifiorire, e questo avviene al di là del nostro controllo, perché il problema è sempre quello, carissimi, che noi vogliamo sempre controllare le cose, vogliamo capirle, vogliamo gestirle noi, vogliamo aggiustarle noi. La bellezza del giubileo è questo, che lo fa Dio, veramente lo fa Dio, lo fa Dio attraverso la fede della Chiesa, e la tua fede.
La parte tua qual è? E’ avere fede, è credere che si compie questa cosa meravigliosa, che Dio può entrare in questa storia attraverso la tua fede, attraverso i segni che tu fai, attraverso questo momento di preghiera: entri nella porta e incontri la Chiesa. Dall’altra parte della porta c’è la Chiesa, che ti accoglie, che conferma la tua fede, che prega con te, che intercede per te, per tutti noi e ci ottiene una grazia straordinaria. Vedrai delle grazie, vedrai dei miracoli! Fidati e li vedrai, molti altri non li vedrai, ma ci saranno, saranno altrettanto reali. Tantissime grazie si daranno al mondo, attraverso di te, alle persone a cui vuoi bene, e anche ai nemici, perché noi siamo chiamati ad amare pure i nemici, e a pregare per loro. Ecco, quindi questo è l’anno del Giubileo, questa è l’occasione del Giubileo, una grande occasione perché la nostra vita possa essere bonificata, risanata, guarita da Cristo, e ripeto, al di là di quello che capiremo noi, che potremo noi vedere con i nostri occhi.
La vita nostra è quella di tante persone collegate a noi, un giardino che fiorisce, un giardino che porta frutti di vita eterna, che sei tu, che sono io.
Don Simone
Ecco, solo un inciso per concludere questa serata così bella, così profonda, per aiutare un po’ tutti noi a pensare con quale spirito dobbiamo avvicinarci a quella porta: noi il 25 ci sveglieremo presto, usciremo di casa, andremo a San Giovanni… con quale intenzione noi arriveremo verso questa porta? Io, appoggiandomi un po’ a quanto detto da don Fabio e da don Giuseppe vi dico che possiamo suscitare nel nostro cuore un piccolo atto eversivo, cioè nel cuore io devo sentirmi come una forza, una forza eversiva. Contro cosa? Contro tutte quelle volte che la voce nel tuo cuore ti ha detto: guarda che questa cosa non cambierà mai, guarda che questa cosa ti puoi confessare, puoi fare un pellegrinaggio, puoi pregare… ma non cambia, rimarrà così! Questo dolore che porti, questa situazione non cambierà mai! Ecco allora, come ci avviciniamo verso questa porta? Dicendo “no”, facendo un atto eversivo di speranza, come i trapezisti, che sono in due, e uno si butta verso l’altro che lo deve prendere e pensa “mi prenderà!”. Deve fare un atto che va contro quella voce nel cuore che gli dice “non ti prenderà, cadi!”, . Invece noi facciamo un atto di speranza, eversivo perché è contro l’uomo della carne che ti dice: “No, questo non cambia”, un atto eversivo di speranza mettendo nelle mani di Dio quello di cui questo demonio, questo Satan ci accusa e ci dice che non c’è via d’uscita.
Noi speriamo nella potenza di Dio, noi ci avvicineremo a quella porta aperta che sono le braccia di Dio, la grazia della Chiesa, la grazia di Dio.
Buon giubileo a tutti.