Gv 13,31
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».Bene, abbiamo ascoltato questa liturgia della parola. Allora io vorrei iniziare dalla seconda lettura che è questa visione che ci viene messa di fronte questa mattina, la visione che Giovanni ha nella sua vita e che scrive nel libro dell’Apocalisse, quando dice che vede un nuovo cielo e una terra nuova, una novità. Vede scendere dal cielo la nuova Gerusalemme come una sposa, una dimora, una casa dove raccogliere la gente che viene consolata, perché dice che tergerà ogni lacrima nei loro occhi, non ci sarà più la morte né il lutto né il lamento né affanno: questo è il sogno di Dio.
Ecco quindi la Chiesa, questa è la Gerusalemme che sta sulla terra ma viene dal cielo. Non è solamente una cosa che sta sulla terra, ma è sulla terra qualcosa che è venuto anche dal cielo, quindi ha una natura divino-umana e questo è il sogno nella Chiesa, ma anche il sogno della prima comunità cristiana che era animata dallo Spirito Santo. Gli atti degli apostoli ci raccontano l’evangelizzazione, che ha la finalità non di fare proselitismo, ma di costruire delle comunità. Questa è l’ecclesiologia e qualsiasi parrocchia che non abbia una ecclesiologia fondata, non sa dove va. Il Concilio Vaticano II ha riscoperto non solo il kerygma, ma anche la comunità. E sentite quello che dice la conferenza episcopale italiana nell’ultimo documento che ha scritto del 2020, in un documento che si intitola: “Linee guida per la catechesi in tempo di covid”: “in realtà la comunità è prima di tutto un luogo interiore e poi relazionale, di ascolto, di narrazione, di confronto con la parola di Dio e di annuncio, per cui non si può più presumere che quanti si radunano per celebrare l’eucarestia siano comunità”.
Questa è una cosa scandalosa, mai detta, mai sentita, mai letta nei documenti della Chiesa. Cioè significa che, quando uno entra dentro una parrocchia e stanno celebrando l’eucaristia, non è detto che quella sia una comunità: stanno celebrando l’eucaristia, è un gruppo, ma la comunità ha altri elementi che vanno costruiti.
Paolo e Barnaba, arrivano a Cipro, da Cipro partono da Pafo e vanno a Gerbe, poi vanno a Listra, poi vanno ad Antiochia, poi hanno tanti problemi, ma capiscono che dopo l’annuncio del Vangelo dove la gente si è riconosciuta, ha colto qualcosa di bello, di grande, capiscono che queste comunità che cominciano piano piano a formarsi proprio come piccoli germogli, vanno consolidate. E avete sentito che Paolo e Barnaba rianimavano i discepoli, esortandoli a restare saldi nella fede. E noi lo vediamo anche nelle nostre piccole comunità: se non c’è qualcuno che ci rianima, ci sostiene, ci esorta, ci aiuta, ci incoraggia, ci consola, si sbraga tutto, si sgretola tutto. Per cui, è vero, tante volte abbiamo detto che è importante l’evangelizzazione ai lontani, ma ancora più urgente è l’evangelizzazione ai vicini e non può terminare quest’evangelizzazione, questa cura, perché si sfascia sempre tutto, si sgretola. Soprattutto in questo momento in cui noi viviamo una situazione cosiddetta di “mutazione antropologica”, una delle cose più difficili è la perseveranza: “esortandoli a rimanere saldi nel Vangelo” e per questo chiedono ad alcuni anziani, alcune persone più mature, i presbiteri. I presbiteri non erano come noi vestiti di nero, quelli sono venuti dopo, ma inizialmente c’erano questi responsabili che collaboravano con gli apostoli e prolungavano la loro attività apostolica mentre Paolo e Barnaba dovevano fondare altre comunità.
Che cosa è necessario per diventare un apostolo, qualcuno che evangelizza? Per evangelizzare, che cosa bisogna aver sperimentato? Che cos’è che ci abilita, a noi, ad essere evangelizzatori. Molto spesso c’è una convinzione che è quella di chi debba studiare la teologia: deve andare nelle università pontificie, per cui se tu non hai fatto il corso tot, poi quell’altro, non puoi fare l’evangelizzatore. Ora, quello dello studio diciamo che è il 20%, il 10%. Cosa è la cosa più importante? Innanzitutto, aver fatto l’esperienza della formazione di una comunità nella quale io sono stato partecipe, ho collaborato, ho visto come questa, questo gruppo piano piano si è amalgamato, si è modificato, queste relazioni si sono arricchite, ho cominciato a vedere il cambiamento dei miei fratelli. C’è un’altra convinzione secondo me sbagliata che circola, che è questa: molti dicono “mica possiamo avere noi il pistimetro”. Sapete che cos’è il pistimetro? Pistimetro significa, questo è un linguaggio ecclesialese, che siccome utilizza il verbo pistis, che significa la fede, la fede, “noi non possiamo misurare la fede dei fratelli” dicono alcuni. Ma come no? Si vede chiaro se una persona ha incontrato Cristo oppure no. Si vede chiaramente una persona che è riconoscente da una persona che è esigente. Si vede chiaramente una persona che sta parlando di teorie e non ha mai visto la concretizzazione di come lo Spirito Santo muove la vita degli altri, delle altre persone. Non solo, ma avete sentito che Gesù nel Vangelo dice una cosa fondamentale, che cioè nella comunità si deve fare l’esperienza di una cosa nuova, di un comandamento nuovo. La parola nuovo in greco si può dire in tre modi: quelli più noti sono neos e kainòs. Neos è quella cosa più recente, il cellulare più recente, il neos, l’ultimo di una serie. Kainòs significa inaudito, mai visto, qualcosa che ti mette così “mamma mia ohh, ma che è questa cosa? Pazzesco, mai vista una cosa così” Questo è il kainòs, questo è il comandamento nuovo. Una persona che ha visto qualcosa di nuovo che viene da Dio che ti ha sorpreso, che ti fa rimanere senza fiato e allora Gesù dice “vi do un comandamento nuovo: che mi amiate come io vi ho amati” e quel come io vi ho amati non significa “amatevi nella misura in cui io vi ho amati, a questo livello amatevi” questo sarebbe un comando di Gesù che sarebbe una maledizione perché uno dovrebbe fare un tipo di lavoro su se stesso che non arriverà mai poi ad essere il super campionissimo che è Gesù. Per cui, “vi do un comandamento nuovo: che vi amiate come io vi ho amati” andrebbe tradotto “siccome io vi ho amati così adesso potete amarvi nella misura in cui siete stati amati” ma per ricevere l’amore di Dio ci vuole moltissimo tempo, per costruire una comunità che sia in grado di evangelizzare ci vuole il sangue, le tribolazioni degli apostoli. Perché tu ti convinca che Dio veramente ti ama di un amore nuovo, bisogna fare un lavoro enorme. Non è che io ti faccio un discorsetto e tu già sei sazio. Ma per convincere una persona che è amata, ci vuole veramente lo Spirito Santo, qualcuno che vinca in te la morte che ti separa da Dio ed è questo quello che la Chiesa chiama -la conseguenza del peccato originale-, ma per vincere questa realtà che ci separa da Dio, ci vuole un lavoro molto importante che trasforma questo gruppo in una comunità. Quindi la comunità non ha solamente delle relazioni, ma delle relazioni qualificate che nascono da un percorso di maturazione, di gestazioni, di approfondimento che facciano percepire, assaggiare a chi vive questa comunità, la novità del Vangelo, qualcosa di inaudito. Questo è il sogno di Dio, questo è il lavoro che deve fare la Chiesa. Quando una persona, quando una comunità comincia a palpitare, vede queste realtà, le può raccontare, malgrado veda certamente le proprie difficoltà, le proprie contraddizioni, i propri dubbi, però qualcosa l’ha visto, allora te lo racconta, ma non si tratta di raccontare la teologia. Per cui, questo è quello che conta, quello che fa un catechista, quello che misura la fede di una persona: aver fatto queste esperienze. Se io non so raccontare le esperienze che ho vissuto di questa novità, io non posso evangelizzare nessuno, perché evangelizzare non significa raccontare e descrivere le teorie che stanno dentro i libri di teologia. La teologia serve a verbalizzare l’esperienza che io ho già vissuto, come succede negli atti degli apostoli, perché gli atti degli apostoli vengono prima della teologia. Prima hanno fatto queste esperienze, dopo le hanno messe per iscritto. Papa Francesco dice così: “attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione, è comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare e centro di costante invio missionario”. Quindi, questa fretta, questo efficientismo che uno pensa di dover realizzare per evangelizzare l’uomo contemporaneo non può essere fatto in modo superficiale perché le obiezioni che ci vengono proposte della gente sono tremende, fortissime. Ecco, io penso che noi stiamo lavorando avendo chiaro questo, tutto il discorso che stiamo facendo, non è che, mentre vi parlo, dice “che cose strane sta dicendo Don Fabio!”. No, questo è quello che noi costantemente cerchiamo di dire, di approfondire. Ecco, quindi, questa è la gloria che io sia glorificato, che la gente veda, colga questa manifestazione di Dio dentro una relazione che normalmente diventa faticosa. Per stare insieme, facilmente uno lo percepisce come una fatica e scappa via e se ne va. Allora è questo, invece, quello che la chiesa deve e la parrocchia deve metterci a disposizione e costituirci come comunità nelle quali possono entrare persone che debbono essere rigenerate consolate, sostenute. Questo è la prima cosa, poi viene l’aiuto del vestiario. Ma se io do il vestito a una persona ma non ho incontrato Cristo sicuramente farò un servizio fatto male. Questa è un pochino la priorità che ci mette di fronte la Scrittura del tempo della Pasqua ed è questo il progetto che noi dobbiamo, avere consapevolezza di portare avanti Certo vediamo tante fatiche, peccati, contraddizioni, però abbiamo visto anche delle cose grandi, le vediamo, quelle non possono essere smentite e su questo dobbiamo, come dire, perseverare, dobbiamo continuare.