Gv 18, 1-19, 42
.Devo dire brevemente delle cose molto difficili, perché noi abbiamo un percorso mentale che ci impedisce di capire tanti aspetti del cristianesimo.
La Domenica delle Palme abbiamo ascoltato la passione di Cristo ed oggi abbiamo ascoltato nuovamente la passione, non secondo il vangelo di Marco, ma secondo il vangelo di San Giovanni. In realtà tecnicamente si chiama la proclamazione della gloriosa passione di Cristo. Quindi siamo ormai nella celebrazione della Pasqua; abbiamo vissuto il primo segmento ieri, oggi il secondo e domani c’è la veglia pasquale in cui celebriamo la resurrezione. Questo è un punto nevralgico, perché noi tendenzialmente abbiamo un automatismo nel pensare che venga prima la passione, poi la morte e finalmente la resurrezione. Siamo convinti che la risurrezione sia una rivincita di Dio, come se “finalmente arrivano i nostri”. Quando ero bambino c’erano i film di cowboy, non c’erano i supereroi. Ad un certo punto la cosa più straordinaria era che arrivava il settimo cavalleggeri: mentre stavano morendo, finalmente arrivava la rivincita. Quindi pensiamo che la risurrezione sia una rivincita, oppure che sia un premio: siccome hai così tanto sofferto, verrai premiato; tanta sofferenza, tanta soddisfazione quando andrai in paradiso. Questo pensiero squalifica completamente il cristianesimo, perché se è vero che esiste una risurrezione che noi vivremo al di là della nostra vicenda umana terrena (e questo sarà una sorpresa inimmaginabile), dobbiamo renderci conto che c’è una risurrezione che si vive dentro la nostra vita terrena. Si può vivere da risorti, nel senso che ciascuno di noi nella predicazione, nei sacramenti, riceve la vittoria di Cristo sulla morte.
Nella passione non abbiamo visto l’assenza della presenza di Dio, la dimostrazione della sconfitta di Dio. Abbiamo detto che quella si chiama la gloriosa passione, cioè un’esperienza nella quale si vede la gloria di Dio, una persona in cui il male è stato vinto.
Quando qualcuno ci tocca, succede che il male moltiplica il male, è un moltiplicatore. Siamo qua per ricevere lo Spirito di Gesù Cristo e reagire così come Lui nel gestire il male che gli è arrivato addosso in mille modi. Anche prima, quando poteva fare delle opere, delle invenzioni, era animato da questo Spirito; a maggior ragione nel momento in cui si trova dentro questa terribile vicenda, dove il male gli si scatena addosso, da quello più piccolo a quello più grande, Lui non reagisce come un uomo normale. Un uomo normale si deprime, così come fai tu e come faccio io: tengo dentro tutti i ricordi con cui tu mi hai ferito, e ci faccio i ricami, ci costruisco un romanzo di horror.
Il Libro della Sapienza dice: “Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua fede. Condanniamolo a una morte infame, perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà. La pensano così, ma si sbagliano; la loro malizia li ha accecati. Non conoscono i segreti di Dio; non sperano salario per la santità…”. Il salario è qualcosa che verrà dopo, ma io e te abbiamo bisogno nel vivere le relazioni interpersonali, lavorative, di ogni genere, di uno Spirito che ci consenta di trasformare il male che ci viene inflitto volontariamente o involontariamente, così da poterlo gestire in una maniera nuova. Questa è la gloriosa passione di Cristo, a cui si riferisce San Paolo quando dice in un’espressione tecnica nella sua lettera ai Romani: “Cristo ha condannato il peccato nella carne”; quando nella nostra carne umana, nella nostra natura arriva qualche pizzicata, qualche problema, qualche ferita dal peccato, dover affermare, difendere sé stesso è istintivo. In Cristo questa istintività, questo meccanismo viene disinnescato; io posso vivere in Cristo, unito a Lui in un modo di comportarmi che prescinda dalla solita modalità; tutti si aspettano che io rimanga offeso, che me la leghi al dito, che te la farò pagare, che me ne vado. Avete sentito invece come parla Gesù, come reagisce: in ogni occasione è un re, non fa battibecchi, non si lamenta, non maledice, ha una sapienza. Dobbiamo imparare parola per parola, scavarci dentro, come faremo tra poco nella via Crucis. Non si tratta solamente di affermare che Cristo ci ama, che ha reagito con amore, è troppo generico, troppo squalificante, ma bisogna lavorarci.
Mentre noi contempliamo la passione, ci viene trasmessa la gloria che è il peso, il “kabod”, il valore, la profondità, il bene che trasuda tutta la sua passione e ci calma, ci illumina, ci consola e ci dilata il cuore. Questa contemplazione non serve a pensare che Dio non deve più permettere che il male accada, perché è in atto e si ferma solamente su persone che decidono di fermarlo sul proprio corpo, guardando il vincitore della morte e reagendo con il bene, con lo Spirito dell’amore soprannaturale ed è necessario che si veda nelle persone che attraversano la vita terrena. Questo è un cristiano!
Siamo in un momento in cui se io faccio una piccola correzione, non lo posso fare; siamo molto reattivi, perché è stato disseminato un tipo di antropologia, un uomo che non deve avere mai nessun contrattempo, nessuna umiliazione, nessun piccolo sgarbo, altrimenti andiamo dagli avvocati; non siamo abituati a prendere il male di nessuno, non ci si deve toccare o diventiamo una bestia.
Quindi il cristianesimo è ricevere la vittoria di Cristo sulla morte e viverla così come lui l’ha vissuta nella passione, affinché il male non riproduca sé stesso; in Cristo risorto, la sua natura divina ha modificato la natura umana, la carne e l’ha portata a vivere quello che è impossibile che un uomo che vive nella carne possa vivere, cioè l’amore soprannaturale, non il sentimento. Questo è ciò che noi contempleremo questa sera nella via crucis, portando le luci, i flamboeaux e dobbiamo stare a questa scuola: dalla passione contemplata ci arriva dentro già una consolazione, un’altezza, una maturità, uno spessore della comunione con Dio che ci dà una dignità nuova. Lui ha utilizzato lo strumento che secondo il demonio doveva dimostrare l’inesistenza di Dio, l’ha trasformata in un momento di manifestazione della sua presenza che è sorprendente, che nessuno poteva mai immaginare. Questa è la sorgente della Chiesa, che è costante. Avete sentito: “il soldato colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua”. L’acqua è la grazia e questa grazia viene dal sangue.
Qualcuno ha lasciato che questa ferita si riproducesse e in Dio sembrava dovesse diventare l’ultima parola del demonio per dimostrare l’inesistenza, ma è stato invece l’inizio di un’umanità nuova, che cresce piano piano che noi prendiamo maggiormente coscienza da dove veniamo: “noi veniamo dalla grande tribolazione, abbiamo lavato le nostre vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello”. Se la comunione con Lui, le sue parole, la sua presenza, il suo affetto, la sua potenza di vita ci arriva dentro, ci accende una riconoscenza, una libertà e anche una normalità; anche una persona che ha vinto la morte è fragile, sbaglia, ha pazienza con se stesso e chiede scusa, si rialza e riconosce che forse ha esagerato oppure non si è accorto di una cosa: è un altro tipo di uomo. Magari in molti di noi già lo vediamo, è già presente, già vivi come un risorto; facilmente però questa vitalità si spegne e il sacerdote, la Chiesa, la parrocchia deve canalizzare in noi questa comunione così passionale, profonda e senza limiti da parte di Dio nei nostri riguardi; così che a volte ci arriva qualcosa dopo che c’è stata una dedizione totale: ti arriva dentro questa presenza di Dio. E allora tutto diventa più consolante nella sua difficoltà, nelle sue problematiche. Speriamo che questo avvenga, che noi consolidiamo questa esperienza che si chiama la Fede, che non è credere nel catechismo, ma è l’esperienza relazionale con chi ci amati per primo che è appunto Gesù Cristo.