Mt 10,26-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».Abbiamo ascoltato la prima lettura del profeta Geremia che vive un momento di sofferenza molto grave, il salmo che ci parla di un povero che non sa cosa fare, e poi il Vangelo che ha due caratteristiche che vorrei far notare. La prima caratteristica è questa: non abbiate paura!
Non abbiate paura degli uomini perchè non vi è nulla di nascosto, non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo… abbiate paura invece di chi ha il potere di far perire l’anima e il corpo nella Geenna. Non abbiate paura perchè voi valete più di molti passeri…
quindi il primo tema è questa affermazione di Gesù che vuole rassicurare contro un pericolo, contro una difficoltà. Questa difficoltà si presuppone che noi la conosciamo perchè qui siamo al versetto 26 del capitolo 10 del vangelo di Matteo dove Gesù ha preso una grande iniziativa, pieno di entusiasmo, prega il Padre su, gli dà i dodici e lui li invia perchè possano iniziare ad evangelizzare la terra di Israele. Ma immediatamente capisce che le cose si mettono molto male. Ci sono difficoltà di ogni genere, contrattempi, incidenti, persone che sobillano. Ha davanti a se un quadro tremendo e lo comunica ai suoi i quali cominciano a tremare come foglie e lui dice: non abbiate paura!”
Il secondo punto è questo atteggiamento trasognato di Gesù. Come se io parlando con don Simone gli dicessi: c’è tutta questa serie di problemi che ci aspettano e quindi le cose si fanno difficili e lui iniziasse a dire: ma dai, i capelli del tuo capo sono tutti contati… Questa reazione un po’ trasognata di Gesù è imbarazzante.
Quindi paura ed atteggiamento trasognato. Come se una persona non volesse prendere coscienza delle difficoltà, o volesse sminuirle, negarle.
Per capire questa contraddizione tra il prendere atto e nello stesso tempo mettere una specie di sordina a questo allarme, c’è un significato che noi dobbiamo assolutamente imparare e che è necessario per tutti noi.
Questa volta per capire il vangelo non dobbiamo guardarlo troppo da vicino, come quando si fanno le esegesi. A volte il vangelo va affrontato con minuziosità, questa volta il vangelo va visto da lontano. Come si dice a Roma “da lontano fa ‘na bella vicinanza”. Cioè va visto nel suo insieme, abbiamo bisogno di una visione spirituale di quello che vuole dire Gesù. Capite che qui c’è dentro anche questo atteggiamento trasognato che Gesù tante volte ha nella sua predicazione, pensate a quando parla dei gigli del campo, gli uccelli del cielo… San Paolo ha colto in questi accenti un po’ stravaganti di Gesù, un insegnamento profondissimo. Infatti dice: se qualcuno tra voi si crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente. L’uomo naturale non comprende le cose dello spirito. Esse sono follia per lui.
Questa è una chiave spirituale fortissima perchè attraversa il cuore dei cristiani che sono i cosiddetti santi. Immaginiamo san Francesco che arriva attraverso questo atteggiamento un po’ poetico ad individuare cosa sia la Perfetta Letizia. Per arrivare a comprendere, a vivere la nostra realtà, questo sovrappiù di sapienza deve essere un atteggiamento di stoltezza, cioè qualcosa che non segue la logica di questo mondo. Questo ci consente di entrare nella nostra realtà senza continuamente contestare Dio. Se noi non assumiamo questo assetto, noi costantemente lo chiamiamo in causa, sul banco degli imputati, perchè le cose non collimano, non quadrano. Per comprendere questo ci sono stati grandi maestri spirituali. George Bernanos ha scritto un’opera che si chiama “Il dialogo delle Carmelitane”. L’esponente più alto delle carmelitane è Teresa di Lisieux che ha insegnato alla Chiesa universale quell’atteggiamento che si chiama ” l’infanzia spirituale “. Bernanos in quest’opera parla di queste suore che sono state uccise durante la rivoluzione francese, e fa dire alla priora quello che ora vi leggo: “L’infanzia è inizialmente un dono naturale e spontaneo. Successivamente diventa la suprema conquista di una carmelitana.
L’infanzia spirituale è l’atteggiamento del bambino, che capisce e non capisce. L’unica cosa che sa è che il padre e la madre non lo tradiranno mai e quindi non sta sempre con il sospetto che nella sua vita ci sia una fregatura. Questo è impossibile per un bambino, e quindi è lui che presupponendo che ci sia questa benevolenza del padre e della madre, capisce che la contraddizione che vive non dipende dall’altro, ma è una sfida che lui deve affrontare per giustificare anche i suoi genitori”.
Dice ancora questa priora dell’opera: “Infatti crescendo abbandoniamo l’infanzia. Allora dobbiamo soffrire molto per recuperarla in noi. Per recuperarla dobbiamo giungere fino al confine estremo della notte per trovare un’altra aurora. L’infanzia spirituale è al contempo frutto e premessa del distacco interiore. L’infanzia è affidamento alla logica della grazia. L’infanzia è liberazione da ogni paura perchè non sia più nulla da difendere e da trattenere gelosamente. Talvolta Dio prova i suoi santi con la forza, ma si comporta anche come un conciatore di pelle che misura la morbidezza della pelle di un daino. Figlia, siate sempre questa cosa dolce e plasmabile nelle sue mani. La morbidezza è abbandono a lui. L’abbandono è il rifiuto della ribellione e del disprezzo verso se stessi. Senza questo abbandono c’è a disperazione. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza”.
Quindi di fronte alla realtà è necessario capire che le cose non quadreranno più, ma l’atteggiamento è quello di Cristo, che non è l’atteggiamento di una persona trasognata. E’ evidente che le sofferenze saranno grandi, ma bisogna lasciare che questo accada, non come una rassegnazione, ma con una sapienza che noi dobbiamo imparare. Senza questa sapienza, gli apostoli si scoraggiano, se ne vanno, smettono di essere cristiani, vanno via dalla parrocchia, dal gruppo. Un cristiano ha questa povertà che nasce dalla fiducia, non è attaccato a se stesso, coglie il punto fondamentale. Per arrivare a questa sapienza abbiamo bisogno dello Spirito Santo, e questa sapienza l’hanno raggiunta i piccoli, come Teresa di Lisieux. Io vi invito a leggere l’autobiografia di questa ragazza giovanissima.